"Non
gioco più, me ne vado", cantava la più grande interprete
della storia della canzone italiana qualche decennio fa. E' proprio
ciò che ha confessato la vecchia signora domenica sera facendosi
irretire da una frizzante Lazio in vena di dispetti.
Così, è subito iniziato il processo dentro e fuori le segrete stanze sabaude teso ad individuare i perchè di una stagione che si annuncia fallimentare per i più severi, di assestamento per i più benevoli.
Così, è subito iniziato il processo dentro e fuori le segrete stanze sabaude teso ad individuare i perchè di una stagione che si annuncia fallimentare per i più severi, di assestamento per i più benevoli.
Divenne in pompa magna reginetta del mercato estivo, la Juve del figliol prodigo Lippi e della ringalluzzita troica Moggi-Giraudo-Bettega.
Quattro acquisti roboanti e carissimi, un allenatore in vena di rivincite, un ambiente "liberato" dalla presenza dell'inviso Ancelotti (144 punti in due anni!). Tutti i tasselli sembravano al proprio posto, il clima era elettrico, la corazzata usciva dal cantiere potente e spavalda alla conquista dei mari.
Ben presto, però, i più avveduti cominciarono a sentire qualche scricchiolìo e alcune falle vennero alla luce. Il progetto lippiano, fondato sulla potenza, sul fosforo, sulla rabbiosa determinazione, denunciò fin dagli albori i suoi genetici limiti.
La Juve tutta muscoli e poco fascino, tutta bicipiti ma poco cervello, era costretta ad inseguire già dalle prime giornate.
Poi ecco la Champions e le falle diventano voragini. Ma l'orgoglio riemerge e allora via alla rimonta in campionato e al testa a testa con gli avversari, sebbene più dotati.
Infine la resa, dignitosa, orgogliosa, fiera, ma triste e forse inevitabile. Troppo debole il tasso tecnico generale, troppo ingombrante l'ombra di Zizou, troppo impalpabile il contributo di Del Piero, troppi contrattempi provenienti dai guerrieri (le bizze di Davids, il lento ambientamento di Nedved), pesanti e inaspettate le delusioni fornite dai tanto sognati e finalmente conquistati Buffon e Thuram.
Forse troppo riscaldata la minestra lippiana, un ritorno caricato di esagerate aspettative, ma esempio ulteriore di glorioso passato che non può più diventare presente (ricordate i ritorni del Trap nella stessa Juve? di Sacchi e di Capello al Milan? di Liedholm alla Roma, etc.?).
Non è giusto tuttavia parlare di fallimento Juve, semplicemente perchè non era giusto troppo pretendere. Vogliamo andare controcorrente e osiamo azzardare che la signora ha fatto anche troppo, visti i mezzi a disposizione (non dimentichiamo l'infortunio del salvator della patria Salas).
Chi invece gioisce assai all'ombra della Mole è l'impertinente Toro di Camolese, viso da infante ma attributi da guerriero.
In tanti avrebbero (forse alcuni l'hanno anche fatto) scommesso sul defenestramento pre natalizio dell'esordiente tecnico o, come minimo, sulla retrocessione largamente anticipata dei granata. Tuttavia, il lavoro serio, concreto e paziente (altro che venditori di patacche!) sta facendo raccogliere frutti di pregiata qualità alla società di Cimminelli, tornata dopo parecchi anni nella colonna sinistra della classifica ...
Commenti
Posta un commento